Quando il 26 maggio del 1957, a Firenze, si svolse il primo Congresso nazionale dell’Associazione Ricreativa Culturale Italiana (ARCI), il Comitato d’iniziativa – promosso dai circoli di diverse grandi città – pensò a un appuntamento per una convenzione della ricreazione, che indicava la necessità di un’organizzazione nazionale unitaria e democratica per la cultura e il tempo libero dei lavoratori.
Il 25 marzo dello stesso anno, a Roma, i Capi di Stato di cinque Paesi europei firmavano la nascita della Comunità Economica Europea, una prima forma di collaborazione economica che avrebbe portato alla moderna Unione Europea. Due mesi di lasso temporale e circa 250 km di distanza dividevano i due eventi, una separazione destinata a ridursi nel tempo.
L’ARCI proviene infatti da una cultura profondamente internazionalista, così come tutta la sinistra storica italiana, e individua nel “sogno europeo” l’esito di un percorso necessario e al tempo stesso ineludibile, che superi i nazionalismi e renda fattivo il sogno di chi aveva sperato nell’unità dei popoli dopo le guerre che avevano insanguinato il Vecchio Continente.
Il sogno, infatti, non è solamente un’attività psichica che si svolge durante il sonno, nè una speranza o un desiderio vano e inconsistente. Martin Luther King ce l’ha insegnato col suo memorabile I have a dream, un discorso che costituisce una visione politica, un progetto di società a cui dare un orizzonte di fattibilità, che rappresenta tutt’oggi uno dei grandi manifesti politici del ‘900.
L’Europa del dopoguerra era divisa in due e sotto il tallone delle superpotenze, c’erano Paesi sotto dittature tanto nella parte orientale che in quella occidentale. I Trattati di Roma istituivano un’unione economica fra alcuni Paesi – non certo l’unità dei popoli di Spinelli – ma comunque la Comunità Economica sanciva la prima forma di unità tra popoli che per lungo tempo si erano combattuti.
Nei decenni in cui il processo di integrazione economica si approfondiva e si allargava, nei paesi dell’Europa occidentale coinvolti cresceva sempre di più l’auspicio di una nuova e più consapevole cittadinanza, un sentimento di fratellanza che abbatteva gli steccati della diffidenza e relegava nell’angolo antimoderno delle destre conservatrici l’idea nazionalista e protezionista.
Sono gli anni dello sviluppo economico e democratico per molti paesi europei, dell’universalità dei diritti sociali e culturali, del welfare diffuso, del benessere economico e dell’accesso al consumo, dello sviluppo infrastrutturale e commerciale, della mobilità, della liberazione dall’angoscia della sopravvivenza e dall’insicurezza del proprio destino. E le forze progressiste europeiste sempre più si battono per la democratizzazione delle istituzioni europee e perché esse assumano il benessere sociale ed ambientale all’interno del proprio mandato.
La caduta del Muro di Berlino, la riunificazione della Germania, la caduta del comunismo all’Est, la fine della guerra fredda e dell’incubo nucleare furono un’epoca di grandi speranze e aspettative – sia ad Est che ad Ovest – per un continente finalmente unito nella democrazia, nei diritti sociali e nelle libertà.
Gli errori commessi dai Governi nel comprendere l’evoluzione che attraversavano i Paesi alle prese con una difficile transizione democratica dopo la fine del sistema comunista, il tradimento delle aspettative di quelle società che guardavano con speranza al processo inclusivo dell’Europa ma di questa si trovarono ad essere solo periferie, portò al primo vero banco di prova col conflitto nella ex-Jugoslavia.
Da qui in poi la storia dell’Unione Europea può essere descritta con la storia dei propri trattati che – pur ribadendo alti princìpi nella definizione della qualità democratica, dei diritti e delle libertà – tradivano l’impossibilità di giungere a una Carta Costituzionale Europea condivisa e privilegiavano un approccio orientato allo sviluppo dei mercati in senso neoliberista. Infatti, mentre il corso di unificazione della moneta e dei mercati interni faceva passi da gigante e la soppressione delle frontiere interne imprimeva
un’accelerazione positiva nella mobilità dei cittadini e delle merci, l’evoluzione verso un Patto di Cittadinanza Europea stentava a prendere forma.
L’incapacità di riformare in senso più democratico il processo decisionale delle istituzioni comunitarie, l’affermazione del primato dell’economia dei mercati e delle politiche monetarie a scapito di quelle di intervento pubblico a favore dei cittadini e delle politiche sociali e del lavoro, l’ipertrofia burocratica e la deriva tecnocratica, l’insufficiente tensione verso un ruolo geopolitico di primo piano nel segno della pace e della solidarietà, lo squilibrio sempre più grande fra aree forti e aree deboli e periferiche, hanno generato una disaffezione profonda in quella stessa opinione pubblica che solo qualche decennio prima aveva sposato con entusiasmo l’idea di una Europa unita e solidale.
Il sogno dell’Europa unita rischia oggi di infrangersi, il progetto tracciato da Spinelli, Rossi e Colorni, per realizzare una grande comunità libera da guerre e sfruttamento, di spegnersi. L’affermarsi della globalizzazione economica ha favorito la crescita delle diseguaglianze sociali e la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, attraverso lo smantellamento dei diritti sociali, la realizzazione di imponenti politiche di privatizzazione dei servizi pubblici, la realizzazione di un sistema generalizzato di competizione tra gli Stati e gli individui.
L’area del Mediterraneo, il Medioriente e l’Africa sono afflitti dal crescere di conflitti e negazione dei diritti umani, carestie e miserie, disastri ambientali e mutamenti climatici, e tutto questo obbliga, da molti anni, ingenti masse di donne, uomini e bambini a migrare verso l’Europa, le cui responsabilità storiche sono enormi e che continua ad agire in quelle regioni con atteggiamento di superiorità morale e forme di neocolonialismo.
Il prodotto di tutto questo è costituito dal riemergere di politiche nazionaliste, xenofobe, di chiusura delle frontiere. Movimenti, forze politiche e culture agli antipodi delle politiche di inclusione che riconoscano – a chi non ha diritti – il diritto di avere diritti, per le quali ci battiamo insieme a coloro che – in tutto il continente – continuano a credere nei valori democratici.
L’esito di questo scontro non è affatto scontato. La disintegrazione europea è un pericolo reale e l’egemonia di culture reazionarie è già una realtà in diversi paesi.
Ci opponiamo al crescente restringimento dello spazio pubblico, condizione necessaria per la qualità della democrazia e per la partecipazione; siamo preoccupati per le gravi discriminazioni subite dalle comunità gay e per la situazione dei diritti delle donne, con un progressivo imbarbarimento e involuzione oscurantista; dispieghiamo tutte le nostre energie per l’affermazione di una UE che non sia la fortezza Europa, per una cultura e una società antirazzista e dell’accoglienza.
E’ una prospettiva che non possiamo accettare, e che dobbiamo combattere con tutte le nostre forze e la nostra intelligenza, insieme alle organizzazioni e le reti democratiche della società civile europea, anche attraverso l’utilizzo attento e innovatore dei programmi della UE per i progetti culturali, di inclusione sociale e di accoglienza, di cooperazione internazionale, per la cittadinanza attiva.
Non si riuscirà però a sconfiggere le pulsioni populiste e nazionaliste senza affrontare la questione della frantumazione e del degrado sociale, della precarizzazione e della disoccupazione, dell’insicurezza sociale, originate dalle politiche di austerità attuate all’interno dei singoli Paesi europei.
Non vogliamo abbandonare l’idea di democratizzare l’Europa, riscrivendo i trattati e facendo significativi passi avanti nella direzione di una vera integrazione politica per ridurre le diseguaglianze sociali e gli squilibri regionali, per favorire la coesione sociale e territoriale tra le differenti regioni d’Europa, di importanti politiche redistributive e a favore dell’occupazione, del rafforzamento del modello sociale europeo, di forti investimenti pubblici per la cultura, di maggiori impegni economici nella protezione dell’ambiente.
L’Europa ha bisogno di un nuovo modello economico incentrato sulla crescita dell’occupazione, sulla ricerca, sul riassetto idrogeologico, sul risparmio energetico e sulle energie rinnovabili. Un modello economico che sappia riconoscere la qualità dell’economia solidale, che la valorizzi e non la riduca a un semplice accidente assimilabile alle ordinarie dinamiche di mercato.
Rifondare l’Europa è possibile: abbandonando le politiche di austerità e gli strumenti che l’hanno fatta assurgere a principio base delle politiche europee, democratizzando la natura dei suoi poteri, legittimando e rendendo autorevoli i processi di governo, riaffermando il primato della politica sull’economia, costruendo una reale democrazia istituzionale europea e trovando un equilibrio avanzato tra la dimensione democratica della rappresentanza, della partecipazione e del conflitto.
La partecipazione popolare, la riattivazione di una cittadinanza attiva europea e il coinvolgimento delle nuove generazioni sono il processo attraverso cui rilanciare e democratizzare l’Europa. Diritti sociali, civili e culturali, libera circolazione delle idee e degli esseri umani, sono i più grandi traguardi che dobbiamo preservare e ampliare. Questa è l’Europa che vogliamo difendere, ed è a partire dalla nostra grande voglia di Europa che intendiamo dare un contributo a ripensarla e a rifondarla.
Per questo l’ARCI intende fare un forte appello al voto, contro l’astensione e contro l’apatia verso la politica. Possiamo e dobbiamo ricostruire il sogno europeo, a partire dalla riaffermazione del protagonismo delle donne e degli uomini dell’Europa, per un’esaltazione del principio di cittadinanza attiva che, pur non esaurendosi nelle sole scadenze elettorali, sappia cogliere in queste un importante strumento di scelta e cambiamento.
L’acquisizione dei diritti e delle libertà, a cui continuiamo a guardare con tensione espansiva, può essere messa a rischio dai nazionalismi e dai populismi che hanno significativamente pervaso parte della società e delle istituzioni di molti Paesi europei.
Per questo continueremo a indicare con forza la necessità di un cambiamento democratico e sociale, necessario sia nelle istituzioni che nelle politiche europee, come la sola via per lo sbarramento alle forze oscurantiste e reazionarie e per la costruzione di unità delle forze progressiste in Europa, anche nelle alleanze che si produrranno nel rinnovato Parlamento Europeo.